Il Dio Giano

Giano (Ianus o Janus), il più antico degli dei maggiori italici e romani pur senza avere alcun corrispondente nella mitologia greca,  Virgilio parla di Giano nel Libro VII dell’Eneide quando ci narra dei profughi Troiani alla ricerca della antica madre. In quell’occasione il poeta ci ricorda che Giano avrebbe “… regnato in Italia prima di Saturno e di Giove”.

 

E Ovidio – per parte sua – ne “I Fasti” e ne “le Metamorfosi” afferma che Giano fissò la propria dimora sul Gianicolo che da lui prese il nome. Giano, che nella più antica religione si era presentato come divinità solare, come alter ego al maschile di Diana, si consolida come divinità che, al mattino, apre e, la sera, chiude le porte del cielo, come ci rivela l’etimo latino di Janua. Giano finì così con il rivestire un posto sempre più elevato nel pantheon romano al punto che un suo sacerdote (il rex sacrorum), nelle processioni aveva la precedenza sui rappresentanti di tutte le altre divinità (compreso il sacerdote di Giove), mentre negli inni veniva invocato come “buon creatore”, cioè come creatore degli uomini (Ianus Pater) e padre Dio degli Dei (deorum deus, ovvero, deorum rex)”, padre in altri termini, di tutti gli uomini, della Natura e dell’Universo. Divenne la divinità dell’apertura e dell’inizio, con caratteristiche simili a quelle della divinità solare che apre il cammino alla luce accompagnando l’attività umana nel corso della giornata. Alle origini della storia religiosa di Roma Giano dovette essere annoverato anche tra le divinità marine, o – quantomeno – “acquatiche”; secondo una alternativa versione del mito, sarebbe stato il primo dio di Roma (abbiamo detto della sua tipizzazione come italico e latino), dove giunse per mare dalla Tessaglia. Era quindi considerato l’inventore delle navi e il protettore della navigazione, dei porti e delle vie fluviali. Ne conseguì che, in prosieguo di tempo, gli venisse riconosciuta la potestà di far zampillare dal terreno sorgenti e polle d’acqua. Ma cominciamo col vedere se la pretesa tipizzazione romano-latina corrisponda a verità. Si pensi alla iconografia indiana del periodo pre-vedico o dravidico, dove quella caratteristica è una costante direttamente proporzionale alla quantità del “divino” presente in un nume.

Chi era in realtà Giano? Proprio la mitologia greca ci parla di uno Ianos, mitico vaticinatore, figlio di Apollo, dal quale si faceva discendere la famiglia dei Giànidi, operanti ed officianti ad Olimpia. Non è quindi un caso che a Giano fosse attribuito il potere dell’inizio, dell’apertura di procedure religiose di particolare solennità (quelle del vaticinio, l’apertura dei giochi olimpici). Né mi sembra un caso che a Giano si attribuissero particolari onori all’atto dell’apertura delle ostilità (era patrono della damnatio ferro inique, cioè della dichiarazione di guerra), né il fatto che il suo nome segnasse il primo mese dell’anno, o che – come ci ricorda Ovidio – in suo onore. il 9 di gennaio si celebrassero gli Agonalia (per propiziare il benessere del popolo romano). Era divenuto, così, una divinità agreste (bicefala) alla quale venne ricondotta la custodia del fuoco sacro, tra due porte, entrata e uscita. Ianua (porta) divenne il segno del suo nome – al centro dell’edificio di culto e domestico – affidato al collegio delle Vestali. A queste porte erano connessi altri due modi di chiamarlo: Patulcius e Clusius (rispettivamente da pàtere e clàudere, aprire e chiudere); le due porte si aprivano in tempo di guerra e si chiudevano alla fine delle operazioni. Mentre il dio assumeva tale forma a Roma, gli Enotri conservavano il ricordo della sua origine e mantenevano la raffigurazione bicefala, le due facce unite per la nuca, che gli valsero gli epiteti di “bifronte”, “gemino”, “bicipite” ma anche “tricareno” e “quadrifronte”. Il che significa che probabilmente esistettero figurazioni con tre e quattro teste….

Giano tuttavia mantenne, come tutte le divinità di origine indo-dravidiche, il significato esoterico relativo alla quantità e natura del divino. Nella sua forma Giano guardava allo stesso tempo, al passato e futuro che in lui coincidevano; in un eterno privo di inizio e di fine impersonò la posizione della terra nell’orbita dell’eclittica, agli equinozi di primavera e di autunno, e nelle feste solstiziali. Il volto del presente era nascosto, perché il presente non si può raffigurare, prima della raffigurazione è futuro, dopo è inesorabilmente passato…. A Roma, quindi, Giano fu signore del tempo (come Cronos) e padre degli dei (come Zeus). Le porte del tempio di Giano si spalancavano in tempo di guerra e nel suo tempio si sacrificava spesso per avere vaticini sulla riuscita delle imprese militari. Giano era preposto alle porte e ai ponti, ma più in generale rappresentava ogni forma di passaggio e mutamento. L’organizzazione più esoterica dell’antica Roma il Collegia Fabrorum et Pontificiorum era dedicata al dio Giano…. Forse una traccia più evidente della sua funzione originale rimase nel suo protettorato sul tutto ciò che riguardava un inizio ed una fine. Non a caso a Giano era intitolato il primo mese dell’anno, Gennaio. Il suo nome sarebbe legato alla sua funzione: un dio delle porte di casa (ianua) e dei passaggi (iani): ne custodiva l’entrata e l’uscita e portava in mano, come i portinai, ianitores, una chiave e un bastone, e fu immaginato con due facce, a custodire entrata e uscita. Giano non fu frequentemente raffigurato nella storia dell’arte.

Possiamo trovare solo una allegoria di Antonio Tempesta, Giano e l’aquila personificata, che appare interessante sotto il profilo simbolico.  A metà Cinquecento, nel disegno di Tempesta, l’immagine di Giano bifronte che affianca l’aquila del potere rende esplicito il riferimento alla prudenza bifronte. Il serpente che morde in circolo la propria coda è antica raffigurazione del tempo che si ripete, dell’eternità; l’accostamento di queste due figure descrive la funzione principale della prudenza politica, che rimane quella di procurare un governo duraturo alla città. Abbiamo già potuto vedere che nel ciclo annuale Giano apre e chiude le Porte Solstiziali, attraversando le quali il Sole dà inizio alle due metà, ascendente e discendente, del percorso annuale. Il volto maturo e barbuto, simbolo del passato, e quello giovane e gioioso, simbolo del futuro, guardando contemporaneamente indietro e avanti mostrano il potere del Dio sul tempo. A volte Giano ha un volto virile, anziano e barbuto e un volto femmineo, giovane e bello in relazione al primitivo significato di simbolo del Sole e della Luna espresso dalla coppia Janus-Jana o Diano-Diana, con senso analogo a quello della coppia divina di Giove e Giunone. Nel Bifronte si rifletterebbe la concezione platonica dell’anima umana: il volto giovane e bello simboleggerebbe l’aspetto divino dell’anima, attratta verso Dio e splendente di immutabile bellezza; la faccia vecchia rappresenterebbe l’attenzione rivolta alle cose del mondo che, in quanto soggette al divenire, sono destinate ad invecchiare.

Il dramma cosmico della morte e della rinascita del Sole che segna nel corso dell’anno l’avvicendarsi delle stagioni e del ciclo della vegetazione è simboleggiato anche dalle vicende di Dei come Osiride, Adone, Dioniso. Lo stesso avvicendarsi di vita e morte, di luce e tenebre, si svolge nel ciclo giornaliero. Osservando che ad ogni morte del Sole, della luce e della vegetazione segue la rinascita, l’uomo deduce che gli tocca la stessa sorte per il valore universale delle leggi cosmiche. In tal senso i Solstizi acquistano anche per l’uomo significati in riferimento al destino della anima, oltre che al naturale perpetuarsi della vita sulla Terra. La tradizione assegna alla Porta del Capricorno un significato positivo in quanto apre la fase dell’anno in cui il Sole cresce e alla Porta del Cancro un significato negativo in quanto dà inizio al semestre oscuro. La Porta Invernale è detta Porta degli Dei, perchè attraversandola le anime ascendono al divino e le influenze superiori discendono sulla terra. La Porta Estiva è detta Porta degli Uomini o degli Antenati perché destinata alla discesa delle anime sulla terra ed al perpetuarsi del ciclo delle esistenze materiali.

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La stregoneria nella antica Babilonia

L’antica magia sacerdotale a Babilonia si operava ufficialmente ed era effettuata per il bene del popolo e la invece la sua maggiore

antagonista era la stregoneria nascosta, eseguita da pochi e nell’ombra.

 

Mentre la prima era definita “magia bianca”, la seconda con rituali e cerimonie diverse, aveva come unico scopo la distruzione o

l’annichilamento dell’individuo per soddisfare sentimenti di odio e attuale la vendetta

 

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Ci sono numerosissimi incantesimi giunti ai nostri tempi che erano in uso presso i babilonesi. Sortilegi vari, malocchi, legamenti

d’amore impositivi, fatture, anche di morte accompagnate da immagini umane fatte di cera o creta stregate e moltissimi filtri e

pozioni di ogni tipo.

 

Queste streghe si servivano anche dei demoni, ognuna aveva un demone personale a lei assegnata e reso servile nei suoi confronti.

Essendo in grado di dominarli avevano la facoltà di donare al richiedente tutto quello che potesse desiderare, rendendolo forte e

invincibile nelle battaglie, attirando a lui l’amore della fanciulla desiderata tramite legamenti d’amore potentissimi o concedendogli

onore e ricchezze infinite.

 

Nonostante questo tipo di stregoneria fosse perseguitato dalla legge, le streghe erano molto rispettate e soprattutto temute dal

popolo per quel mondo di mistero e tenebroso pieno di magia di cui erano avvolte e che solo loro sapevano dominare.

 

Erano infatti espertissime di magia bianca, rossa e nera e sapevano effettuare dei sortilegi, che nelle loro mani si

trasformavano in

armi terribili.

 

Tra questi c’era l’incantesimo dell’immagine, perpetrato ai danni di una persona che consisteva nella costruzione di un simulacro

molto somigliante nelle sue fattezze a quelle della vittima predestinata, che poi veniva cosparso di erbe ed essenze maledette e dei

fluidi corporei della vittima, come sangue, saliva o sperma.

 

Su tale simulacro soffiavano poi per tre volte per “darli vita”, sputavano per tre volte su di esso e infine pronunciavano la formula

magica.

 

Eseguito questo rituale, lo stesso simulacro andava sotterrato o tra i morti, se lo scopo del maleficio era la morte dell’individuo,

oppure lascito abbandonato in qualche strada molto trafficata, in modo da essere calpestato e ridotto in pezzi.

 

Il principio di questo rituale si basava sulla legge universale magica secondo cui il simile attrae il simile, noto anche

come legge della

corrispondenza. In pratica la medesima sorte toccata al simulacro spettava alla persona fatturata.

 

Naturalmente erano a conoscenza non solo di sortilegi d’odio ma anche di potentissimi legamenti d’amore.

 

 

In particolare, per questo tipo di sortilegio venivano composti filtri d’amore, preparati con profonda conoscenza magica e degli

appositi rituali, che potevano trasformare l’indifferenza di una persona in una passione ardente, questi legamenti

d’amore erano

particolarmente richiesti.

 

Uno dei più conosciuti ed efficaci legamenti d’amore era il cosiddetto “sortilegio dei nodi”, perché veniva eseguito con un numero

ben preciso di nodi: tre, sette o tredici. Al fine di provocare sterilità nelle campagne ce con questo maleficio non producevano più

frutti, o nelle donne che così rifiutavano la consumazione del matrimonio.

 

Le streghe babilonesi e le loro maledizioni non erano da sottovalutare poiché, una volta lanciate, erano quasi impossibili da

neutralizzare e da allontanare dalle persone colpite.

 

La potenza violenta di tali maledizioni è testimoniata in una stele ritrovata nelle vicinanze di Baghdad e sulla quale è incisa la

seguente formula:

 

Che Ea, Anu, Marduk e tutte le potenti divinità

 

Lo ricoprono di disonore e vergogna,

 

distruggendo lui e la sua famiglia!

 

Che Sin-Nannar, illuminante abitante del cielo lucente

 

Lo rivesta di sfogo come un abito pesante.

 

Che Adar, luce del mezzogiorno, il potente e violento,

 

faccia sparire i suoi beni materiali.

 

Che Gula la grande signora, gli stilli nelle vene un potente veleno,

 

senza rimedio, affinchè il suo corpo rigetti

 

sangue e marciume!

 

 

È comprensibile lo spavento che queste parole suscitavano nel popolo e ovviamente il terrore per le sue conseguenze che ne

potevano derivare.